9 O'CLOCK NASTY - The Worms
Arriverà un giorno in cui le nostre spoglie saranno restituite alla terra. Nelle nostre casse di legno saremo sepolti con abiti più belli di quelli che usavamo quando eravamo in vita. Come per un appuntamento galante saremo pettinati e composti diversamente dalla posizione in cui affrontavamo i nostri tristi week-end, sbracati sul divano a guardare lo sport e a bere birra. In quello spazio angusto staremo stretti e non avremo la possibilità di muoverci.
Per fortuna non saremo soli. La terra è piena di vermi che prima o poi riusciranno ad entrare nella nostra cassa e noi non avremo altro da offrire loro che la nostra fredda carne. Le migliori amicizie nascono a tavola e noi faremmo del nostro meglio per non deludere gli unici vicini di casa che avremo lì sotto.
La surreale scenetta che ha aperto questo articolo è ispirata al brano The Worms, una canzone che oggi possiamo apprezzare in due diverse versioni grazie all'esperimento messo in atto nell'ultimo EP dei 9 O'Clock Nasty. In questo mini album infatti possiamo ascoltare la stessa canzone interpretata prima dai 9 O'Clock Nasty e poi dalla band I Am The Unicorn Head.
Le due tracce si chiamano The Worms Parte 1 e The Worms parte 2. L'unica cosa che possiamo dire è che il risultato è entusiasmante. Le due band affrontano questo brano attraverso il proprio stile ed il proprio gusto consegnandoci una canzone intensa e profonda che sembra vivere due esistenze parallele che condividono lo stesso destino.
Entrambe le versioni si ispirano alle sonorità elettroniche in cui i synth e i ritmi martellanti dominano la scena. C'è un tocco retrò che permea queste due canzoni in cui è possibile comunque riscontrare echi più contemporanei. Il tema portante e la melodia della voce ovviamente sono uguali, quello che cambia è l'approccio al contesto musicale.
Nella prima versione abbiamo un tempo quasi dance di matrice anni '80 in cui spiccano dei suoni secchi e chitarre con una bella dose di tremolo. La seconda versione presenta invece suoni più grossi, bagnati di riverbero con un accompagnamento ritmico più ridondante. I suoni rimbombano come all'interno di una cattedrale rimbalzando da una parte all'altra. Quello che colpisce di questo esperimento è l'occasione di vedere come due band possano fornire due versioni sostanzialmente diverse dello stesso brano pur mantenendo intatto lo spirito della canzone che serpeggia malinconico ed introspettivo in entrambe le sue incarnazioni.
L'angosciante verso "Non ho mai chiesto di essere vivo, non ho mai chiesto di essere niente" rimbomba nelle nostre orecchie come un mantra disperato nascosto da un sottile black humor. Non riusciamo a determinare quale versione ci sia piaciuta maggiormente, ma è bello immaginarlo come un unico lungo brano.